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venerdì 2 novembre 2018

Sentenza processo Aemilia condanna sistema 'ndranghetista emiliano-romagnolo

Il nostro articolo per il numero di novembre  2018 del periodico Piazza Verdi è dedicato alla sentenza di primo grado del processo Aemilia, il più grande processo contro la 'ndrangheta che si sia mai tenuto al nord. Buona lettura.

SENTENZA PROCESSO AEMILIA CONDANNA SISTEMA N’DRANGHEDISTA EMILIANO-ROMAGNOLO
Se il rito abbreviato del processo Aemilia ha portato a 40 condanne definitive - sentenza emessa il 25 ottobre 2018 - fra cui anche quella dell’ex responsabile dei lavori pubblici del Comune di Finale Emilia per abuso d’ufficio (senza l’aggravante mafiosa), è con la sentenza di primo grado del rito ordinario - emessa il 31 ottobre 2018 - che emerge un quadro impressionante. Il primo grado di giudizio del processo alla mafia in Emilia si chiude con 1.223 anni di carcere comminati a125 condannati che portano nelle patrie galere non solo appartenenti o collusi a un unico clan della ‘ndrangheta, ma un vero e proprio sistema ‘ndranghedista calato in Emilia-Romagna che inquinava l’economia e che aveva messo le mani sulla ricostruzione post sisma grazie alla complicità di imprenditori, costruttori, professionisti, politici, giornalisti e persino di uomini delle forze dell’ordine.

È questo l’aspetto più inquietante che la sentenza conferma e su cui solleviamo l’attenzione. Perché se la presenza mafiosa in Emilia-Romagna è arrivata a questo punto è anche a causa del progressivo indebolimento della politica, dei professionisti e delle imprese di fronte ai grandi affari e alla rinuncia delle istituzioni pubbliche a svolgere fino in fondo il loro ruolo di garanti del bene comune e di controllo della legalità.

L’Emilia-Romagna nel 2017 era al terzo posto nazionale per numero di lavoratori irregolari, al quarto per subappalti e somministrazione abusiva o fraudolenta di manodopera, e al quinto per segnalazioni di sospetto riciclaggio. Eppure le istituzioni sanno bene che la catena infinita dei sub appalti sono la porta d’ingresso della criminalità organizzata nell’economia legale. Così come è noto che le privatizzazioni di servizi pubblici e i conseguenti presunti risparmi di spesa per i Comuni sono spesso pagati da condizioni di lavoro irregolari e stipendi da fame. Ed è altrettanto noto che le operazioni immobiliari speculative sovente non sono altro che il modo per ripulire denaro proveniente da attività illecite, come le numerose confische di immobili che accompagnano la sentenza confermano.

Insomma, la sentenza Aemilia non è un fulmine a ciel sereno, ma lo specchio di una economia in cui la presenza della criminalità organizzata è diffusa e sorprende solo chi in questi anni non ha voluto o saputo ascoltare quello che i numeri già ci dicevano.

“Aemilia” è il più grande processo alla ‘ndrangheta che si sia svolto nel nord Italia. Un evento che si può definire storico non solo per l’Emilia-Romagna ma per il Paese intero in quanto conferma che la ‘ndrangheta emiliana è una realtà criminale che ha agito in modo autonomo dalla cosca d’origine. Eppure la sentenza non ha meritato l’attenzione di un commento del solitamente loquace Ministro dell’Interno Matteo Salvini. Un silenzio che stupisce ma non sorprende, visto che politicamente paga di più prendersela con i migranti che con gli 'ndranghetisti. E questo silenzio è parte del problema, perché la sottovalutazione della presenza della criminalità organizzata nella nostra regione, e più in generale nel nord Italia, è il primo elemento che ne favorisce la diffusione.

Stefano Lugli
Consigliere comunale Sinistra Civica per Finale Emilia

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